In attesa di pubblicarne una edizione commentata, forniamo ai nostri lettori una nuova Iliade, quella del bizantino Giovanni Malala, vissuto ai tempi di Giustiniano, nel VI secolo d.C. Anche in questo caso, salvo auspicabili smentite, è la prima volta che questo testo viene pubblicato in Italia. In realtà quello qui riprodotta e di seguito tradotta è la versione latina che accompagna la prima edizione a stampa dell'opera, curata dal Chilmead nel 1691 e riproposta dal Dindorf nella prima edizione critica. L'autore cita numerose fonti, ma quella più significativa per noi è Ditti Cretese per il quale rinvio al mio Impius Aeneas. Giudichino i lettori quanto resta anche nella letteratura greco-bizantina della grande tradizione omerica.


Ai tempi di David regnò a Ilio, cioè in Frigia, Priamo, figlio di Laomedonte. Durante il suo regno Ilio e la terra di Dardano e Troia e tutta la regione della Frigia furono devastate dai Greci; tra i quali i capi più celebri furono Agamennone e Menelao con Neottolemo Pirro e gli altri, che mossero guerra a Troia per il rapimento di Elena, dal cui amore Paride detto anche Alessandro era stato preso. Elena infatti era di giusta statura, bella, con bei seni, occhi alquanto grandi, gradevole, una bella voce, uno spettacolo insomma temibile tra le donne per la bellezza; aveva 25 anni: si dice che fu la causa che portà la rovina a Troia, alle regioni della Frigia, a tutto il suo impero.

Quando da Ecuba nacque Paride, suo padre Priamo consultò l’oracolosu cosa dovesse sperare del figlio natogli. E il vate diede questo responso:” Ti è nato il figlio Paride, figlio sciagurato. Toccando il trentesimo anno porterà la rovina ai regni Frigii.” E sentito ciò il padre subito cambiò il nome e lo chiamò Alessandro e lo mandò in una campagna di nome Amandra, lo consegnò perché fosse allevato a un contadino, finché non si fossero compiuti quei trent’anni indicati dall’oracolo. Priamo perciò, lasciando il figlio in campagna, cinse con un gran muro questo campo e chiamò la città Pario. E Paride lì fu allevato dedicando il suo tempo a buone attività. Divenne saggio e colto e compose un discorso encomiastico per Venere, dicendola superiore a tutte le dèe, incluse Giunone e Minerva. Disse infatti che Venere è il piacere; dal piacere tutto nasce. Perciò su di lui è nata la favola che egli fu posto come giudice tra Pallade, Giunone e Venere; e che a Venere attribuì la vittoria, dandole la mela d’oro. Disse infatti che Venere, cioè il piacere, tutto genera, e figli e sapienza e saggezza e arti e tutte le altre cose, tanto negli esseri bruti che in quelli razionali; e che non c'è cosa più grande e più bella di lei.

Ma Paride compose anche in sua lode un inno che chiamò “cesto”. Dopo che trascorse il trentaduesimo anno, Priamo ritenendo che era ormai trascorso il tempo fissato dall’oracolo datogli su Paride dei venti anni, manda chi facesse venire da quel campo il figlio Alessandro, con ogni onore: infatti gli voleva bene. E lo stesso re Priamo gli uscì incontro per accoglierlo, circondato dai suoi consiglieri e fratelli e tutti i cittadini. E Paride entrò in Troia nel trentatreesimo anno di vita, nel mese di aprile. E quando Priamo lo vide così bello e di aspetto e di vigore e di eloquio, gli ordinò di prendere doni e di andare a darli in sacrificio in Grecia ad Apollo Dafneo, dicendo: ”Dio commiserò la mia vecchiaia e allontanò le sciagure predette. Infatti, è passato ormai il tempo dell’oracolo”. Priamo dunque congedò Paride, dandogli doni per tutti i re dell’Europa, che per lettera esortò ad accogliere degnamente suo figlio Paride Alessandro che andava dall’oracolo di Apollo per un voto a sacrificare. Paride perciò dopo 57 giorni che si fermò a Troia parte il 18 giugno prendendosi anche moltissimi doni del re e scegliendo cento compagni del fiore della gioventù frigia, salpando si mise per mare.

E giunse in una città della Grecia, di nome Sparta, dove regnava Menelao figlio di Plistene. Questo Menelao veramente era stato allevato in casa di Atreo, re degli Argivi, insieme con il figlio del re, Agamennone, e perciò entrambi furono chiamati Atridi. Proprio al momento dell’arrivo di Paride nella città di Sparta Menelao meditava la partenza, dovendo salpare il giorno seguente per l’isola di Creta con i suoi familiari, per far lì un sacrificio a Giove ed Europa nella città di Cortina. Egli aveva ormai assunto come abitudine di festeggiare questo anniversario e di fare in quel periodo sacrifici ogni anno in memoria di Europa. Letta dunque la lettera e presi i doni inviati da Priamo, re di Frigia, abbracciò Alessandro ossia Paride e lo accolse non meno onorevolmente che se fosse stato un suo figlio. Designò poi tra i suoi quelli che servissero lui e i suoi compagni e gli preparassero la mensa e tutto il necessario giù nel suo palazzo. Anzi gli diede il permesso di fermarsi in quella città quanti giorni volesse , fin quando avesse recuperato le sue forze esaurite dalla navigazione, per poi andarsene a fare il sacrificio stabilito con voto nel tempio di Apollo. Avendo quindi provveduto a Paride in ogni cosa nel suo palazzo, Menelao si imbarcò e salpò per Creta.

Ma intanto, dimorando Menelao in Creta e facendo sacrifici a Giove Asterio e Europa nella città di Gortina, un giorno capitò che Elena scendesse nel giardino del suo palazzo con Etra, cognata di Menelao per paryte di Pelope, e Clitennestra, che discendeva da Europa, per svagarsi. E Paride, guardando per caso nel giardino, vide Elena e, osservatane la bellezza, nel fiore della gioventù, fu preso d’amore per lei e con l’aiuto di Etra, la cognata di Menelao già citata, corruppe Elena. E insomma, pensando alle cose sue con la fuga, e imbarcandosi sulle navi che aveva portato con sé da Troia, se la portò via con trecento libbre di monete e molte vesti preziose e argento, accompagnandola Etra, cognata di Pelope e Clitennestra, oriunda da Europa, con cinque ancelle cubicularie. E tralasciando del tutto il previsto sacrificio in Grecia e il tempio di Apollo, navigò verso l’antistante città di Sidone e salpando da lì arrivò in Egitto dal re Proteo. Ma i soldati di Menelao custodi della reggia , appena furono informati della fuga di Elena, costernati, mandano senza indugio tre soldati dalla città di Sparta a Cortina di Creta ad annunciare al re Menelao che Elena era stata rapita da Paride e che con lei era stata portata via anche Etra, cognata del re e di Clitemnestra. Appena Menelao lo sentì fu quasi travolto dal furore, ma fu preso anche da ira violenta contro Etra, visto che dalla castità di lei aveva presunto per sé fiducia assoluta.

Perciò salpando subito torna in Grecia e venendo a Sparta manda in tutte le direzioni alla ricerca di Elena con Pride e gli altri, ma non li trovarono in nessun posto. E dopo qualche tempo Paride tornando dall’Egitto portò con sé Elena con tutte le sue ricchezze e tesori. Priamo ed Ecuba allora, appena videro Elena con Paride, ammirati della sua straordinaria bellezza, le chiesero chi mai fosse e da quali antenati discendesse; Elena rispose di essere legata a Alessandro, cioè Paride, e di appartenere più alla stirpe di Priamo ed Ecuba che a Menelao, figlio di Plistene. Infatti affermò che lei e Priamo discendevano dai Sidonii Danao e Agenore. Da Plesione infatti, figlia di Danao, erano nati Atlante ed Elettra; e di Elettra era figlio il re Dardano, dal quale discendevano Troo e i re Troiani. Aggiunse inoltre che il re Dina, padre di Ecuba, discendeva da Fenice, figlio di Agenore. Da Dina poi anche Leda aveva tratto la sua origine. Essendosi rivolta a Priamo ed Ecuba con queste parole, Elena chiese loro di confermare con giuramento che non l’avrebbero tradita, confermando anche lei con giuramento di non aver sottratto assolutamente nulla a Menelao, ma di aver portato con sé solamente i beni suoi.

E allora Ecuba l’abbracciò e la baciò, e da allora in poi li ebbe più cari di tutti gli altri. Ma Agamennone e Menelao, informati che Elena con Paride era giunta a Troia, mandano ambasciatori a chiedere che Elena sia restituita. Veramente più di tutti era Clitennestra, sua sorella, a chiedere ciò a suo marito Agamennone, re degli Argivi; e anzi diede anche una lettera a Menelao, da consegnare ad Elena,in cui si sforzava di convincerla a tornare. Prima dunque che iniziasse la guerra, Menelao si recò da Priamo, chiedendo che gli fosse resa la moglie. Ma rifiutandosi assolutamente i Priamidi di restituirla, subito gli Atridi presero le armi contro i Troiani, prendendo come alleati mercenari i principi vicini. Sollecitati perciò Peleo e sua moglie Teti, fecero preghiera anche a Chitone, re e fiolosofo, padre di Teti, di concedergli come alleato Achille, figlio di Peleo e Teti. Perciò Chirone lo fa venire dall’isola dove egli viveva presso il re Licomede, padre di Deidamia. Perciò Achille si aggiunse come compagno agli Atridi, avendo con sé nel suo esercito tremila Mirmidoni (così erano detti un tempo quelli che ora si chiamano Bulgari) tra i quali ci fu anche Nestore e Patroclo, prefetto dell’accampamento: Chitone, Peleo e Teti chiesero appunto loro di accompagnare Achille.
Partì dunque Achille contro Ilio, scortato dai soli Argivi e Mirmidoni. Ma anche gli Atridi, sollecitando anche da ogni parte per l’Europa tutti i duci e re, li esortarono a venire schierati con le loro flotte ed esercito all’alleanza di questa guerra. Si radunarono perciò tutti nella regione dell’Aulide, decisi a salpare di là, quando, scoppiata una tempesta, il vate Calcante disse che bisognava che Agamennone immolasse sua figlia a Diana, nume di quel luogo. Ulisse allora con una falsa lettera di Agamennone partì per Argo e ne portò via sua figlia Ifigenia. Quando la vide il padre Agamennone pianse amaramente, ma temendo per sé da parte dell’esercito e dei re la consegna come vittima per Diana. Ma essendo la vergine condotta al tempio di Diana per essere immolata, ecco al cospetto di tutti, re e sacerdote, esercito e vergine, una cerva tagliare correndo la strada. Appena il sacerdote la vide esclamò: ” Catturate questa e datela come vittima a Diana al posto della vergine!” Fecero quindi vittima la cerva catturata e restituirono Ifigenia a suo padre Agamennone. Il padre tuttavia la lasciò lì facendone la sacerdotessa nel tempio di Diana. Da allora perciò Agamennone fu eletto dall’esercito comandante in capo; e partendo da lì andarono contro Troia.

Facendo una sortita i Troiani respingevano i Greci che si avvicinavano a Troia perché non approdassero alla loro spiaggia. Molti dunque caddero da una parte e dall’altra, tra i quali Protesilao, uno degli alleati dei Greci. Peraltro i Greci non cedendo di un passo ma occupando finalmente il lido marino di Troia legarono con funi le loro navi; all’inizio della notte, i Troiani ritornarono in città sbarrandone le porte. Ma nel cuore della notte un certo Cicno, cognato di Priamo, che abitava non lontano dalla città, quando seppe dell’arrivo dei Greci a Troia, uscito con molte truppe dalla sua città di Meandro, assale i Greci; e attaccata battaglia nella notte, fu ucciso da Achille e il suo esercito fu sbaragliato prima che fosse schiarato il giorno. Allora i Greci presero la decisione di occupare prima le città circostanti più da vicino Ilio e Troia, visto che avevano preso le parti di Priamo. E così, legandosi con giuramenti reciproci di portare in mezzo ai loro re e all’esercito tutto il bottino, ne venivano tenuti comunque fuori Achille, Aiace Telamonio e Diomede. Allora subito Diomede, occupata Meandro, la città di Cicno difensore dei Troiani, ne saccheggia la regione; e, portandone via come prigionieri i suoi due figli Cebo e Cocarco e la figlia Glauce( di undici anni, vergine, di grande bellezza), saccheggiò tutte le ricchezze del re e della sua terra e le portò davanti all’esercito.

Achille intanto, uscito con gli Argivi e i suoi Mirmidoni, assale la città di Lesbo e tutta la regione circostante, che era soggetta a Forbante, uno dei cognati di Priamo, come lui ostilissimo ai Greci. E occupate la città e la regione Achille uccise Forbante stesso, e spogliato il suo regno portò via come prigioniera la figlia Diomedea. Questa era vergine, di pelle chiara, volto rotondo, occhi chiari, statura normale, capelli quasi biondi, piuttosto camusa, di ventidue anni. E tornando Achille riportava da Lesbo all’esercito dei Greci la preda conquistata. Partito poi di nuovo per il Ponto Eusino devasta quella regione e ne porta via la preda. Anzi prese anche Lirnesso, eliminando il re Eezione, che era padrone di quel luogo; e anche la moglie di lui Astinome, detta anche Criseide, figlia di Crise il sacerdote di Apollo, la portò via prigioniera; e riportò alle navi anche le ricchezze del re stesso e della regione.

E, devastata da ogni parte quella regione, incombeva sulla città stessa cingendola d’assedio. Uccisi moltissimi e occupata la città, portò via come prigioniera Ippodamia, chiamata anche Briseide, figlia di Brise, moglie del re Legopolitano Menete, ed eliminò i fratelli di lei Andro e Timete. Ma Menete stesso allora era assente da Legopoli, occupato a procurare truppe ausiliarie in Licia e Licaonia per la guerra. E subito dopo che da Achille erano state conquistate regione, città e moglie, Menete, tornando con le sue truppe dalle terre di Licia e Licaonia, per nulla cedendo al viaggio per quanto faticoso, assale stanco Achille con tutte le sue truppe e attaccata battaglia combattè valorosamente con lui finché, colpito con la lancia da un certo Eurizione, uno dei duci dell’esercito di Achille, fu ucciso lui con tutto l’esercito. Ippodamia, chiamata anche Briseide, era alta, candida, di belle guance, bella, con le sopracciglia unite, naso bello, occhi alquanto grandi, palpebre aderenti, ricciuta, con i capelli piegati dietro la schiena, allegra, di ventun anni. Preso d’amore per lei Achille la tenne segretamente nella sua tenda né la mostrò all’esercito. Invece il bottino e Astinome ossia Criseide e tutte le altre cose che aveva conquistate in guerra le mise in mezzo, davanti ai re e a tutto l’esercito.

Ma essendo divenuto noto a tutti che Achille aveva nascosto presso di sé la figlia di Brise, moglie del re Menete, con tutto il suo corredo, la presero male e furono presi da ira contro di lui, perché era diventato spergiuro per l’amore che aveva per lei: anzi lo accolsero anche con insulti, improverandogli l’amante tenuta nascosta. Ma dai duci riuniti a consiglio fu anche interdetto ad Achille do occupare o invadere città e di uscire dall’accampamento per saccheggiare altre regioni, e gli subentrarono Teucro, il fratello di Aiace Telamonio, e Idomeneo, i quali conquistarono depredarono e saccheggiarono Cipro, Isauria e la Licia. Ma Aiace Telamonio uscito dal campo assale i Traci nel Chersoneso e il loro re Polimestore. E Polimestore temendo la forza di Aiace gli offrì una grande quantità d’oro e gli fornì tanto frumento quanto bastasse per un anno all’esercito greco. Maconsegnò ad Aiace anche Polidoro, il figlio più piccolo di Priamo, che suo padre aveva affidato da allevare a Polimestore con una ingente quantità di denaro. Certo il re Priamo ebbe sommamente caro Polidoro, poiché era bello e l’ultimo di nascita: e così lo volle far allevare in un’altra regione, perché non fosse atterrito, così piccolo, dallo strepito delle armi. Ma Polimestore stipulò un patto scritto con Aiace che non avrebbe portato aiuto a Priamo.

Partito da lì Aiace andò a combattere contro il re Teutrante, con il quale attaccò battaglia e lo uccise con la spada; e saccheggiata la sua città, depredatene tutte le ricchezze, portò di notte all’accampamento sua figlia Tecmessa e tutte le ricchezze. Tecmessa era ben dotata per ciò che attiene alla bellezza, di colorito scuro, begli occhi, naso piuttosto sottile, capelli neri, viso piccolo, vergine, di 17 anni. E mettendo Polidoro, il figlio di Priamo, di fronte alle mura, annunciano a Priamo che, restituendo Elena e prendendo in cambio Polidoro, ci sarebbe stata èiena pace; altrimenti avrebbero messo a morte Polidoro. Ma rifiutando…

…Pirro, detto anche Neottolemo…era figlio di Achille, da Deidamia, figlia di Licomede, che dopo la morte del padre, chiedendoglielo i Greci per vendicare Achille ucciso con l’inganno partì per vendicare il sangue paterno, mandato da Teti e dal nonno Peleo. Perciò con 22 navi e un esercito di 1650 Mirmidoni, informato da Peleo partì contro Ilio. E salpando e approdato al lido troiano andò nella tenda del padre, dove trovò Ippodamia cioè Briseide custode di tutte le cose che erano state di Achille. E così abbracciandola la tenne in sommo onore e la pregò di badare anche alle sue cose nella tenda paterna.
Non molto tempo dopo Briseide si ammalò e morì. …

Polissena…a 17 anni fu uccisa, come dice il sapientissimo Ditti Cretese che ha tramandato tutto ciò che è stato detto finora e quello che stiamo per dire sulla guerra dei Greci presso Ilio descrivendolo fedelmente. Questo Ditti era infatti il cronista di Idomeneo (che era sceso in questa guerra con i Greci) e insieme con lui partecipò alla guerra: e riportò fedelmente nella sua storia gli eventi dei quali era stato testimone oculare….

…Tutte le navi dei Greci sono dunque 1250. E i Greci, come avevano concordato, imbarcatisi si portarono prima in Aulide, e poi, assalita la Frigia e devastrate le regioni dei Frigi, come si è detto prima, uccisero il re Priamo e la regina Ecuba; e portati via i loro figli e saccheggiate tutte le ricchezze dei Frigi se ne tornarono ognuno nella sua regione. Il regno di Efeso, che fu quello di Troia frigia e dell’Asia tutta, durò perciò in tutto 819 anni. Presa Troia, gli Argivi si divisero tutto il bottino e le ricchezze e allestivano la flotta per tornarsene ognuno nella sua patria. Salpando dunque parecchi, moltissimi tuttavia rimasero, per la contesa sorta tra Aiace Telamonio, Ulisse e Diomede.

Aiace Telamonio infatti chiedeva il Palladio per sé: proprio quella piccola statua lignea di Pallade, che veniva preparata con rito mistico, come dicono, evidentemente per la vittoria e per rendere inespugnabile la città in cui veniva consegnata. Questo Palladio lo aveva offerto al re Troo quando stava per gettare le fondamenta della città un certo Asio, filosofo e mago: e per gratitudine verso di lui il re Troo chiamò Asia titta la terra in suo potere, chiamata prima Epitropio, in memoria di Asio filosofo. Questo Palladio lo portarono via di nascosto Ulisse e Diomede, entrati di notte a Troia e dormendo presso il tempio di Pallade, mentre intanto da Grececi e Frigi si celebrava la festa delle offerte: e questo dietro consiglio di Antenore, che era fra i duci troiani, e la cui moglie Teano serviva come sacerdotessa a Pallade nel tempio dove era posto questo Palladio. Certo i Greci erano stati informati da un oracolo che Troia non poteva essere occupata altrimenti senza che ne venisse sottratto quel Palladio. E Aiace Telamonio lo chiedeva per sé per portarselo in patria. “Giacchè infatti giustamente è dovuto a me, disse, che ho sostenuto tanto per gli Achei. Già davvero basterebbe il fatto che Ettore, stando per venire a duello con me, evidentemente inferiore lasciava il duello. Ma anche, respinti i nemici, io da solo aprii la via per le porte di Troia e, salvate le navi di tutti voi, ferii parecchi eroi troiani senza esserne ferito io stesso.

Ma basta per la mia gloria il fatto che portai all’accampamento il corpo di Achille, portandolo fuori dal tempio di Apollo Timbreo”. Ma gli ribattè Ulisse: ”Anzi esso è dovuto piuttosto a me, perché lo porti nella mia città. Tu non hai beneficato gli Argivi con meriti superiori ai miei. Infatti dagli stessi inizii della guerra, dopo il rapimento di Elena da parte di Paride io ho mosso le armi contro Troia con Palamede e il re Menelao. Chiamai nel nostro esercito re ed eroi convocandoli da ogni parte, ma anche per Paride io sono stato autire della morte. Quando infatti, come sapete, attaccata battaglia tra Troiani e Greci caddero moltissimi da entrambe le parti, insistendo e premendo nel frattempo a vicenda i duci di entrambi gli eserciti perché si decidesse la guerra, io esortai l’eroe Filottete a sfidare Paride a tentare il duello con l’arco. Subito dunque uscito di mezzo ai re, Filottete sfida Paride al duello con l’arco: sentendolo, Paride uscì anch’egli armato dell’arco con il fratello Deifobo. Allora io misurai loro la distanza della posizione reciproca. Perciò Paride, al quale per sorteggio era toccato di farlo per primo, scagliò la freccia ma mancò il bersaglio. Filottete invece, mentre io lo esortavo a stare ddi buon animo, cercando a sua volta di colpire Paride con la freccia, gli trafigge la mano sinistra; e subito scagliandone un’altra lo ferì nall’occhio destro.

Urlò allora Paride, e stava per darsi alla fuga, quando Filottete? scagliò una terza freccia e gli trafisse i piedi vicino ai malleoli, e alla fine Paride cadde. I Troiani velocemente prendono il suo corpo e si danno alla fuga. E portato in città chiamò i tre figli che aveva avuti da Elena, Bunimo, Coriteo e Ideo, e quando li vide piccoli intorno al suo letto rimase senza fiato, e verso la mezzanotte spirò. Vedendolo la sua prim,a moglie, Enoe, ridiede la morte impiccandosi. E Elena la prese in moglie Deifobo, l’altro figlio di Priamo, che fu mutilato delle estremità dal re Menelao, come vi è abbastanza noto. Anche mio fu il consiglio che l’eroe Pirro sgozzasse Polissena presso la tomba di Achille”. E allora Ulisse alzando la voce: ”Chi, disse, può esser paragonato a me, che ho ordito la morte a Paride, in vendetta di Menelao, di Achille e dei Greci tutti?”. Allora Agamennone e una gran parte dell’esercito lo acclamarono. E Ulisse: “Ma ritengo di non dover tacere neanche l’ulteriore pericolo che affrontammo, io e Diomede, sottraendo il Palladio: come, dico, trattando con i barbari a Troia, di tutte le cose che erano accadute loro vi abbiamo informato tornando all’accampamento: e anche ora voglio ripeterle.

Quando i Troiani celebravano la festa delle Offerte, compiendosi intanto in città i sacrifici, all’altare di Apollo accadde un prodigio di questo tipo. Avvicinavano secondo il rito all’altare il fuoco per immolare la vittima: ma questa non brucia. E il fuoco, ripreso più volte, tuttavia non arse, anzi anche le cose che avevano poste sull’altare caddero a terra tutte. Si aggiunsero a questi anche altri prodigi, e i Troiani vedendoli dissero che si annunciava loro qualcosa di avverso. Perciò Antenore, chiedendoglielo il re Priamo, i duci e l’esercito troiano, fu mandato da voi come ambasciatore, evidentemente a chiedervi di concedere la pace, stabilendone il prezzo. E noi, avuta notizia di tutto ciò, tornando all’accampamento ve ne demmo notizia. E Antenore, accettata l’ambasceria, a nome dei Troiani e di Priamo tenne un discorso di questo tenore: “O re dei Greci, non fate più le cose tipiche dei nemici, ma degli amici. Abbiamo scontato il fio dei nostri delitti. Per l’offesa infatti di Paride a Menelao ha pagato Troia, e lo testimoniano a sufficienza i sepolcri degli uccisi in guerra. Da voi dipende il prezzo con cui noi, superstiti al conflitto, potremo riscattare i nostri figli, la patria e gli dèi. Anzi, essendo Greci, liberate con un riscatto quelli che ora siamo i vostri supplici, un tempo eravamo contumaci. “ E, consentendo noi tutti ad Antenore, fummo mandati io e Diomede da Priamo per decidere l’entità del riscatto.

Ma ammessi al cospetto di Priamo e diopo molte discussioni decidemmo finalmente che vi fossero consegnati due talenti d’oro e altrettanti d’argento. Tornati quindi all’accampamento vi informammo dei patti, indicando anche la quantità di denaro contrattato per voi. E anzi, mentre voi facevate i sacrifici, vi legai tutti con giuramento a non salpare da Troia prima che, costruito industriosamente un cavallo di legno con giunture adattissime, non fossimo visti navigare verso Tenedo, l’isola vicina, dando intanto alle fiamme le nostre tende, in modo che i barbari, credendo intanto che noi fossimo partiti, stessero ormai tranquilli dandosi alla pazza gioia: noi però al cominciar della notte, tornando da Tenedo, entrassimo a Troia e data alle fiamme la città e eliminato il re Priamo recuperassimo Elena e la riportassimo finalmente nei regni di Plistene. Con la permanente guida del mio consiglio gli dèi ci hanno concesso la vittoria contro i barbari. Pertanto vi chiamo, re e eroi, a giudici delle cose fatte da noi”. Agamennone dunque e Diomede e i loro eserciti stettero dalla parte di Ulisse, Pirro Neottolemo invece con i suoi da quella di Aiace Telamonio, visto che era suo parente. Peraltro, discusse molte altre cose tra i duci fino a sera, finalmente si decise che Diomede conservasse presso di sé il Palladio fino alla mattina successiva, e che entrambi riposassero fino a che il giorno dopo si decidesse a chi dovesse esser dato il Palladio sulla base dei meriti.

Perciò Aiace, irritato con Ulisse, Agamennone e Diomede si ritirò nella sua tenda, dove durante la notte fu ucciso di spada, e se ne trovò il giorno dopo il cadavere. Gli eserciti di Aiace perciò e di Pirro insorgevano contro Ulisse volendo ucciderlo. Ma egli, messe in mare le sue navi e salvandosi con la fuga, dirige la rotta verso il Ponto e fermatosi là per qualche tempo decise di tornare nella sua patria e nella città di Itaca con la flotta e l’esercito. Ma mentre procedeva per la regione Maronide gli si opposero gli abitanti, e Ulisse assalendoli a sua volta li sconfisse e s’impadronì di molte ricchezze; e concependo la speranza, in qualunque terra sbarcasse, di debellare chiunque gli si opponesse e di depredarne le ricchezze, attaccò battaglia anche con i Lotofagi nella cui terra finì. Ma sconfitto da loro, quando poco mancava che le sue truppe fossero tutte sterminate fino all’ultimo uomo, prende la fuga e infine spossato dalla lunga navigazione approdò nell’isola Sicila, che ora si chiama Sicilia. Quest’ isola era vastissima, e la dominavano tre fratelli che se l’erano divisa, Ciclope, Antifante (sic, ndr) e Polifemo, che erano i potenti figli di Sicano, il re di quest’isola, e uomini di gran nome che curavano reciprocamente le loro cose. Questi tre avevano costumi efferati e tutti dediti non ad ospitare gli stranieri ma piuttosto a ucciderli.

E Ulisse, avvicinandosi con la flotta e l’esercito capitò in quella parte dell’isola soggetta ad Antifante; attaccata battaglia con lui e con i suoi Lestrigoni, vedendo uccisi parecchi dei suoi Ulisse imbarcatosi fugge via di là, con l’intento di assalire un’altra parte dell’isola, quella proprio che, soggetta a Ciclope, ha i monti detti Ciclopii. Avendo sentito ciò Ciclope, raccolte le truppe, partì contro di lui. Ciclope (era di mole fisica grandissima e di volto deforme), assalendo d’improvviso Ulisse che stazionava sulle sue terre, sconfigge per largo tratto il suo esercito e catturò Ulisse stesso e parecchi altri del suo esercito. Tra questi c’era un certo Miccalione, uomo d’animo nobile e che si era dimostrato duce valoroso a Troia. Ciclope, afferratolo per i capelli, alla presenza di Ulisse e di tutti i compagni lo sventrò con la sua spada perché aveva osato muovere le armi contro Ciclope. Gli altri invece li imprigionò, avendo in animo di finirli uno per volta. Ma Ulisse gettandosi ai suoi piedi lo pregò come un supplice di lasciar libero sé e il suo esercito superstite con il pagamento di un grande riscatto e doni. Ma, convinto a stento a ciò, Ciclope prometteva di lasciarli partire quando facesse sera e diede la sua parola, con l’intenzione invece di uscire a notte fonda per saccheggiare, uccisi Ulisse e i compagni, tutte le ricchezze che egli aveva portato con le navi.

Ma Ulisse, appena si fu liberato da un uomo così truculento, temendo miseramente per sè, salpando di là si allontanò subito dalle sue spiagge. Ma Ciclope, avendo intenzione di assalirli durante la notte, appena si accorse che le navi erano scappate, si infuriò e ordinò di lanciare sassi in mare, nel timore che avessero per caso occupato qualche altra postazione. La notte era oscura e la terra era avvolta dalle tenebre, quando Ulisse e i compagni, ignari dei luoghi, capitarono in quell’altra parte dell’isola che era di Polifemo, il fratello di Ciclope e Antifante. Polifemo, avendo sentito che alcuni erano approdati durante la notte alla sua terra, raccolte le sue forze attaccò Ulisse e, scoppiata tra loro la battaglia per tutta la notte, caddero moltissimi dei compagni d’Ulisse. Fattosi giorno, Ulisse anche a Polifemo portò doni, e prostrandosi alle sue ginocchia: ”Io, disse, dai lidi troiani, sperimentando gli estremi pericoli, sono giunto errabondo qui, nelle vostre terre”, e contemporaneamente, enumerando i pericoli che aveva affrontati, ammorbidiva Polifemo sicché egli commiserandolo accolse nella sua casa Ulisse e i compagni finché non venisse il tempo adatto alla navigazione. Ma la figlia di Polifemo, di nome Elpe, s’innamorò di uno dei compagni di Ulisse, un certo Lione, uomo di bell’aspetto. Cogliendo così l’occasione di venti propizi, rapitala, essi salparono dalla Sicilia, come ha lasciato scritto il sapientissimo Sisifo Coo.

Il dotto Euripide nel suo dramma parla di Cclope : racconta che egli aveva tre occhi, certo alludendoci a quei tre fratelli che, tenendo reciprocamente cura di loro, badarono ognuno a tutto quel che c’era nell’isola, prontissimi e a darsi aiuto e alla vendetta. Lo stesso Euripide racconta che, ubriacato Ciclope, Ulisse scampò così dalle sue mani: certo Ulisse lo inebriò con una gran quantità di denaro e doni, perché non respingesse sé e i compagni. E sempre lui dice che Ulisse con un palo ardente cavò l’unico occhio a Ciclope: evidentemente perché rapì la figlia vergine di Polifemo, l’unica che aveva, ardente d’amore per lui: per questo motivo si dice che egli spense al Ciclope (certamente a Polifemo) uno degli occhi, come raccontò il sapientissimo Fidia di Corinto, che aggiunge anche che Euripide ha tramandato poeticamente tutte queste cose, e che non ha tramandato delle peregrinazioni di Ulisse le stesse cose del sapientissimo Omero. Ulisse poi salpando dalla Sicilia arrivò alle isole Eolie, il cui re Eolo lo ospitò. E questi in punto di morte lasciò quelle due isole alle figlie, che le governavano come regine. Circe era sacerdotessa del Sole, e il padre l’aveva dalla tenera età consacrata al dio nel suo tempio nell’isola Eea, perché vi fosse allevata.

Quando fu un po’ cresciuta, quella vergine di straordinaria bellezza imparò la mistica sacerdotale. Ma a lei era ostilissima la sorella Calipso e con sommo odio la perseguitò dicendo: “Perché, rinnegando suo padre Atlante, si spaccia per figlia del Titano Sole?”. Perciò Circe temeva da parte della sorella Calipso di trovarsi a pessimo partito se assalita da lei così adirata (aveva infatti a disposizione nella sua isola una ingente moltitudine di valorosi guerrieri). Perciò, badando a sé stessa, Circe, non avendo potuto procurarsi altrimenti alleati e custodi, con i poteri estratti da alcune erbe si preparò un potentissimo filtro di velenosa efficacia, il cui effetto per chi lo assumesse era di dimenticare la sua patria e di restare lì insieme con lei. Appena avesse dato da bere questo farmaco agli stranieri arrivati lì, che ella ospitò in grandissimo numero, ognuno, dimentico della sua patria, da allora rimase in quest’isola. Usando quest’artifizio ella attirò a sé molti. E appena ebbe udito che le navi di Ulisse erano approdate alla sua isola, diede ordine ai suoi di trattare onorevolmente lui e il suo esercito. Voleva infatti unire a sé come alleati Ulisse e is uoi compagni, perché erano forti. Ma Ulisse, appena approdò all’isola di Circe, vi vide molti stranieri di popoli diversi, e riconoscendone parecchi di quelli che erano stati nell’esercito dei Greci e che gli si avvicinavano: “Che motivo, disse, avevate di metter piede su quest’isola?”.

Allora quelli: “Noi, dicono, siamo dell’esercito greco, ma sballottati dalle tumultuose tempeste di onde sbarcammo su quest’isola, dove per aver bevuto una magica bevanda che ci diede la regina Circe, presi da incredibile amore per lei, abbiamo ora quest’isola come patria”. Riferirono queste ed altre cose, udite le quali Ulisse, convocati a sé tutti i suoi, ordinò loro di prendere come cibo, ognuno quando ne avesse bisogno, da quel che restava delle provviste che il re Eolo aveva loro fornito e dalle vettovaglie che un tempo avevano riposto nelle navi; di quel che invece, incantato con veneficii, Circe consegnasse loro da bere o da mangiare, nulla assolutamente prendessero. Circe però, avendo capito queste cose, cre4dendo che Ulisse, non ignaro dell’arte magica, avesse intuito le sue intenzioni, si diede da fare per farlo venire al tempio. Egli chiamato ci va, scortato dal suo esercito e fiducioso nella sua confidenza tipicamente greca, portando alla regina doni troiani. E Circe, appena vide Ulisse e i compagni, lo pregò di restare come ospite nell’isola finché ne avesse avuto il tempo, facendogli anche su due piedi giuramento che non avrebbe fatto alcun danno a lui e ai suoi compagni. Dandole ascolto Ulisse dimorava lì per qualche tempo e godette della compagnia di Circe (ella così voleva): comehanno raccontato, riguardo a Circe, i sapientissimi Sisifo di Ceo e Ditti Cretese.

Ma il sapientissimo Omero ?secondo il costume dei poeti racconta che Circe, facendo loro bere un filtro magico, trasformava gli stranieri che arrivavano lì, rivestendo alcuni l’aspetto o il volto di leoni, altri di cani, e questi di cinghiali, quelli di orsi, parecchi anche di porci. E il succitato Fidalio Corinzio, narrando questa favola, disse: “A Circe le cose non sarebbero certo andate secondo il suo desiderio, se avesse mutato il bestie le turbe di uomini che accorrevano di continuo: ma il poeta indicava gli uomini travolti dalla follia dell’amore, che, digrignanti a mo’ di fiere, Circe a suo piacimento agitò con furie, essi che già erano efferati sino alla rabbia per il desiderio di lei. L’amore ha infatti un impeto naturale siffatto, da trascinare precipitevolmente verso la cosa desiderata, a disprezzo anche della morte. Giacché per la forza della passione gli uomini diventano quasi animali, non facendo nulla di ragionevole, ma spogliati dell’aspetto umano, gli innamorati quando guardano perdutamente le loro donne hanno evidentemente aspetti e costumi animaleschi. Dalla natura deriva anche questo, che i rivali si assalgono a vicenda con un impeto quasi belluino, attaccandosi a vicenda sino alla morte. Ma quelli che indulgono a queste passioni non si comportano in un’unica maniera: alcuni infatti come i cani si congiungono con frequenza eccessiva, altri, come son soliti fare i leoni, cercano soltanto di soddisfare lo stesso impeto del momentaneo prurito, altri infine come gli orsi, come questo autore ha raccontato secondo verità più volte nei suoi scritti.

Ma Ulisse, salpando dall’isola di Circe, sbattuto dal mare in tempesta fu spinto a quell’altra isola dove, accolto onorevolmente da Calipso, sorella di Circe, anche con lei si congiunse. Partito di là arrivò ad un grande stagno chiamato Nekyopompo, sito presso il mare. Gli abitanti che eccellevano nei vaticini gli svelarono tutte le cose che gli erano accadute e quelle che gli sarebbero avvenute. Partendo di là, sbattuto dalla violenza alquanto forte del mare, era trascinato alle rupe che chiamano Sirenidi, che dall’urto dei flutti preducono un suono particolare. Essendo scampato a queste, allontanatosi capitò nel golfo che chiamano Cariddi: là, affondate nel mare le navi residue e l’esercito, egli solo seduto su una tavola della nave fluttuava per il mare dinanzi a luoghi scoscesi e irti di scogli, aspettando ormai solo luna misera morte. Ma dei Fenici che navigavano per di là, vedendolo fluttuare nelle secche marine, spinti da pietà lo strapparono ai flutti e, condottolo all’isola di Creta, lo consegnarono a Idomeneo, uno dei condottieri Greci. Idomeneo, appena vide Ulisse nudo e bisognoso di tutto, ebbe grandissima pietà di lui e, facendogli moltissimi doni, fornendogli anche una guida e delle truppe e due navi e alcuni servi, lo rimandò ad Itaca, così come ci ha tramandato il sapiente Ditti, informato dallo stesso Ulisse.

Similmente anche Diomede, preso con sé il Palladio, lasciò Troia per tornare nella sua patria. Agamennone invece, impadronitosi di Cassandra, che amava, varcato il mare di Rodi raggiunse la sua Micene. Pirro poi, quando si accorse che tutti se n’erano andati, seppellì onorevolmente di persona le ceneri di Aiace Telamonio poste in un’urna presso il promontorio chiamato Sigri, accanto al tumulo di Achille, padre di Pirro, e cugino di Aiace. Teucro invece, fratello di Aiace Telamonio, che era venuto in suo aiuto da Salamina, città di Cipro, incontrandosi con Pirro e edotto da lui di ciò che era accaduto, informato anche con quanto onore egli aveva affidato alla terra le reliquie di Aiace, lodò Pirro e augurandogli ogni felicità disse: “Niente hai fatto che non sia degno di te, che sei erede della divina mente di quell’ Achille. Certo il tempo consuma le reliquie degli eroi, ma anche dopo la morte splende il valore”. E allora Pirro lo pregò di cenare con lui.

Mentre cenavano Pirro (a cui lo univano anche vincoli familiari) lo pregò di raccontargli, cominciando dall’inizio, tutto quel che era accaduto a suo padre, lamentandosi di non averne saputo nulla di certo. Perciò Teucro cominciò con queste parole:” Nessuna età farà dimenticare quella vittoria che Achille ha riportato su Ettore. Egli, avendo sentito che Ettore durante la notte sarebbe andato incontro alla regina Pentesilea, occupato precedentemente il suo percorso, dispose sé e i suoi in un agguato e fece strage di Ettore con tutti i suoi mentre guadavano il fiume, tranne uno che volle sopravvivesse alla strage perché, con le mani tagliate, fosse rimandato da Priamo ad annunciargli la morte di Ettore. Tuo padre poi, prima dell’alba, quando ancora i Greci ignoravano tutto l’accaduto, legò al cocchio il corpo esanime di Ettore e facendolo trascinare dai cavalli che egli stesso con Automedonte spronò quanto più potè lo fece urtare a terra. Allora Priamo, saputo il destino di Ettore, pianse con tutti i suoi e un così grande clamore si levò nel popolo troiano mentre i Greci frattanto con clamori reciproci celebravano il loro trionfo, che anche gli uccelli del cielo cadevano morti a terra. E subito allora furono sbarrate le porte di Troia. e tuo padre, fissato il giorno dei giochi funebri, donò moltissimi doni ai duci e a tutto l’esercito. Priamo invece il giorno seguente con addosso una veste luttuosa e portando con sé la figlia Polissena, vergine nubile, e la moglie di Ettore Andromaca con i suoi due figlioletti Astianatte e Laodamante andò dai Greci, portando con sé oltre a vesti e ornamenti anche moltissimo oro e argento.

E all’ arrivo di Priamo nasceva improvvisamente il silenzio tra i duci dei Greci, ammirati del coraggio di Priamo. E gli andavano allora incontro per chiedergli il motivo della sua venuta. Priamo, appena li vide, gettandosi a terra e mettendosi polvere sul capo, li supplicava di implorare con lui da Achille la restituzione del corpo di Ettore. Impietositi, Nestore e Idomeneo acconsentirono alle sue preghiere e sollecitarono Achille a restituire il corpo di Ettore. E tuo padre, scosso dalle loro preghiere, fa chiamare Priamo nella tenda: e Priamo entrando si gettava supplice ai piedi di Achille insieme con Andromaca e i figli di lei. Polissena invece, abbracciando le ginocchia di tuo padre, prometteva che spontaneamente sarebbe stata sua schiava in eterno purché restituisse il corpo del fratello. Allora i duci presenti, commiserando la vecchiezza di Priamo, si fanno supplici per lui. E tuo padre, “Sarebbe stato opportuno, disse, che Priamo avesse tenuto a freno prima i suoi figli e che non si fosse dato complice della loro scelleratezza. Ma lo possedeva la brama di ricchezze altrui, né tanto Elena moglie (di Paride, ndr) quanto le ricchezze di Pelope e Atreo desiderava per sé. Pagate dunque il fio delle vostre malefatte, e con il vostro esempio Greci e barbari abbiano ad insegnamento queste cose”.

Ma i duci gli consigliavano di accettare il prezzo del riscatto e concedergli il cadavere. E lui, pensando alle gioie della vita, fa alzare in piedi Priamo, Polissena e Andromaca, ordinando inoltre a Priamo, quando si fosse lavato, di prendere accanto a lui vino e acqua: minacciandolo di non dargli altrimenti il corpo di Ettore. E Priamo, sospeso tra speranza e timore, sorretto da Polissena umilmente entrò nella tenda, per prendere cibo e bevanda con tuo padre. Là, dopo aver parlato a lungo tra loro, finalmente si alzavano e fu messo mel mezzo il prezzo del riscatto. E Achille vedendo la moltitudine di doni, prese per sé l’oro e l’argento e alcune vesti, restituì a Polissena le altre cose insieme con il cadavere. E a Priamo che gli chiedeva di tenere per sé anche Polissena, Achille ordinò a Priamo di portarla con sé in città, avendo intenzione di parlare con lui di questo in un'altra occasione. Priamo dunque salendo sul carro e portando con sé il cadavere di Ettore ritorna con i suoi in città, dove seppellirono il corpo mutato in cenere presso le mura di Troia, al di fuori della città, con grande compianto. Ma intanto dall’antistante Chersoneso arrivava Pentesilea, scortata da un folto esercito di Amazzoni e di bellicosi guerrieri. Informata però della morte di Ettore si prepara a tornarsene subito, ma Paride, sentito ciò, con molto oro la dissuadeva dalla sua decisione.

Ella dunque, riposatasi con i suoi per pochi giorni, andò finalmente in campo aperto scortata dalle sue truppe. Diviso l’esercito in due parti, gli arcieri si schierarono a destra, i fanti invece di armamento pesante che ella aveva più numerosi dei cavalieri li collocò a sinistra, mettendo in mezzo i cavalieri, tra i quali si dispose lei stessa con le insegne. L’esercito greco invece fu schierato così: agli arcieri nemici ci opponevamo io Teucro, Menelao, Merione, Ulisse; ai fanti dall’armamento pesante Diomede, Agamennone, Tlepolemo, Ialmeno e Ascalafo; ai cavalieri invece tuo padre Achille, i due Aiaci, Idomeneo, Filottete e gli altri duci con i loro soldati attaccarono battaglia. E certo io Teucro uccisi moltissimi nemici, tanto che tutti mi hanno ricordato come un vero eroe. Gli Aiaci sbaragliarono i soldati d’armamento pesante, irrompendo al centro contro di loro. E tuo padre, schierato tra di loro, spiando proprio la regina aspettava l’occasione di eliminarla giacché ella combatteva davvero aspramente. Perciò accostandosi a lei l’assaliva con l’asta; e disarcionatala, mentre cadeva l’afferrò per i capelli e la trascinava. E vedendola cadere gli altri del suo esercito prendevano tutti la fuga.

Ed essendo state sbarrate dai Troiani le porte della città per togliere ai loro ogni speranza di fuga, noi inseguendo i resti dei nemici li trucidammo sotto le mura stesse della città, astenendoci però intanto dalle Amazzoni che, gettate in catene, tutto l’esercito si divise. Quanto poi a Pentesilea che ancora rantolava si era deciso da noi che o fosse precipitata nel fiume o fosse gettata da dilaniare ai cani; Achille invece chiedeva che, morta, la si seppellisse; ma nonostante le sue parole l’esercito insisteva che la si precipitasse nel fiume. Diomede allora l’afferrò per i piedi e la precipitò nello Scamandro, dove morì subito annegata. Ma dopo pochi giorni giunse in aiuto, chiamato da Priamo, un certo Titone e con lui i fanti indiani e i cavalieri fenici, anch’essi bellicosissimi, con il loro re Polidamante. Il loro numero era così grande che né Troia né tutta la campagna da ogni parte pot+ contenerli. Ma sopraggiunsero anche moltissimi Indiani con i loro re, con l’allestimento anche di navi. E tutto l’esercito e i re militavano agli ordini di Memnone, re degli Indiani, uomo potentissimo e che aveva le sue navi adorne di moltissime ricchezze. Questi, essendosi ristorati un po’, scesero in campo aperto, indossando ognuno spade barbariche, fionde e scudi quadrati; e a loro si erano aggiunti come commilitoni i Troiani e i figli di Priamo. Memnone stesso poi procedeva in campo aperto sul carro da guerra.

Anche noi Greci prendendo le armi e prevedendo intanto per noi tutte le sventure, tuttavia usciamo a battaglia; infatti e noi duci e l’esercito fummo costernati alla vista stessa dei nemici. E così, levato il grido di guerra i Troiani con Memnone e gli altri ci attaccarono, e noi ne sostenemmo in un primo tempo l’assalto ferendone molti. Ma essendo caduti moltissimi dei nostri e non essendo noi capaci di sostenere ancora l’assalto dei barbari, indietreggiammo verso le navi. Ma anche queste i barbari avrebbero incendiate, se la notte sopraggiungendo non lo avesse impedito. E all’inizio della notte, radunando l’esercito, bruciammo i cadaveri degli uccisi. E nella stessa notte si affrontò anche la decisione di chi dovesse tra i nostri duci andare a duello con Memnone, mentre gli altri assalivano alacremente le sue truppe. E, fatto il sorteggio tra tutti i duci, per sorte toccò ad Aiace, mio fratello, così volendo i fati. Prima dunque del sorgere del sole noi Greci usciamo tutti in battaglia armati, così come anche i Troiani con il re degli Indiani Memnone e tutto l’esercito. E, attaccata battaglia e cadendo molti, mio fratello Aiace, dato il segnale ai duci dei Greci di assalire i Troiani e gli altri Indiani, attaccò lui Memnone, il re degli Indiani, sostenuto alle spalle di nascosto dal padre tuo Achille.

Ma Memnone, appena si accorse che Aiace gli si avvicinava, scendendo subito dal carro gli si avvicinò. E allora si assalivano a vicenda con le astee per primo Aiace, assalendolo selvaggiamente, piegò il suo scudo colpendolo con l’asta. Subito allora quelli che erano più vicini assalirono Aiace, che lo premeva con l’asta; e tuo padre Achille appena vide ciò trafisse con l’asta la gola scoperta di Memnone e lo uccise contro la speranza di tutti. Abbattuto così Memnone, tra i barbari, che volevano prendere senza indugio la fuga sorse un ingente tumulto. Noi invece, ripreso coraggio, sterminammo fino all’ultimo tutti gli Etiopi. E poi Aiace inseguiva a sua volta Polidamante che lo assaliva, e trafittolo vicino all’inguine lo eliminò. E, uccisi lui e moltissimi altri, gli Etiopi perirono nella stessa fuga, calpestrati dai cavalli, e tutto il campo di battaglia era pieno di cadaveri. Ma cominciando ormai la notte i Troiani trattarono con noi la sepoltura dei caduti e, avendo il nostro consenso, dall’una e dall’altra parte costruimmo roghi e cremammo i morti. E i Troiani, chiuse le porte di Troia, piansero la morte dei loro duci e di Memnone. Passati così pochi giorni, sfidando a battaglia tuo padre Achille e noi Argivi i Troiani, essi uscirono dalla città, sotto il comando di Paride e Deifobo, e con loro Licaone e Troilo e i figli stessi di Priamo si schierarono a battaglia. E così tuo padre Achille, scendendo con tutti noi in battaglia, sterminò i barbari.

Moltissimi tra loro nel fuggire scivolando nel fiume Scamandrio morirono ; moltissimi anche furono catturati vivi. Ma i figli di Priamo Troilo e Licaone morirono per mano di Achille, gli altri furono uccisi da noi. E grande fu tra i Troiani il compianto per la morte di Troilo, perché era molto giovane e magnanimo e di straordinaria bellezza. Ma dopo alcuni giorni la guerra fu interrotta da entrambe le parti per la imminente festa delle Offerte, nella quale i Greci così come i Troiani facevano sacrifici ad Apollo Timbreo nel bosco poco lontano dalla città. Là Achille, vedendo Polissena entrare nel tempio insieme con Ecuba, restò ammirato della sua bellezza. E Priamo, vedendo Achille che passeggiava da solo nel bosco, mandò un certo Ideo a parlare di Polissena con Achille. E Achille, avendo udito il messaggio di Ideo, arse d’amore per Polissena. Ma noi, vedendo Ideo parlare in modo appartato con Achille, rimanemmo turbati e cominciammo a temere da tuo padre che egli tramasse per caso il tradimento. Perciò furono mandati ad Achille, con mio fratello, Ulisse e Diomede, a riferirgli di non affidarsi così fiduciosamente da solo ai barbari. Ed essi andando via aspettavano il suo ritorno dal bosco, per riferirgli quel messaggio. Intanto tuo padre Achille aveva promesso di sposare Polissena.

E poco dopo anche Paride con il fratello Deifobo gli andò incontro di nascosto, come se veramente volesse interpellarlo sulle nozze; e Achille li accolse in disparte, ignaro dell’inganno e nulla di male sospettando, visto che erano nel bosco di Apollo. Paride si fermò presso l’altare, come se dovesse rinsaldare con un giuramento quanto avevano pattuito tra loro. Ma intanto, mentre Deifobo e Achille si abbracciavano reciprocamente, Paride venendo di lato trapassa Achille con la spada che portava. E Achille, tenuto fermo da Deifobo, trafitto da un’altra ferita cadde esanime. E Paride e Deifobo per una scorciatoia del bosco si trovarono la strada e di nascosto da tutti scamparono e procedendo un po’, messisi a correre, acceleravano il rientro in città.

Quando Ulisse li vide, rivoltosi ad Aiace e Diomede: ”Non è niente di buono, esclamò, ciò in cui sono occupati costoro: e dunque badiamo ad Achille”. Entrando perciò nel bosco vedono tuo padre coperto di sangue, prostrato a terra accanto all’altare, e che esalava ormai gli ultimi respiri. E mio fratello Aiace gli disse: “Qualcuno dunque poteva ucciderti, o fortissimo dei mortali? ma piuttosto è stata la tua imprudenza a ucciderti”. “Al contrario, disse Achille, Paride e Deifobo mettendo a pretesto Polissena mi hanno raggirato dolosamente”. E senza dire di più spirò. E tuo fratello Aiace se lo mise morto sulle spalle e lo portava giù all’accampamento.

Visto ciò, i Troiani fanno subito una sortita per impadronirsi del corpo di Achille e farne scempio. Ma noi, sommamente angustiati per quanto accaduto, bruciamo il corpo sulla pira, lo chiudiamo nell’urna e lo affidiamo taciti alla terra”. A questo punto Pirro gemette profondamente, ma Teucro lo lodò e guardandolo esclamò: “Chi mai sembrerebbe adeguato ad esaltare i tuoi pregi? Tu che vanti discendenza per parte di padre da Peleo, re dei Tessali di Ftia, e per parte di madre da Licomede, re di Sciro, e che desti alla rovina Troia e Ilio tutta in vendetta di tuo padre?”. Allora alzandosi Teucro abbracciò Pirro, che a sua volta lo pregò di prendere con sé i figli di Aiace suo fratello, Aiantide da parte di Glauce, prima moglie di Aiace, ed Eurisace da parte di Tecmessa, e Tecmessa stessa. E Teucro, salpando subito, li prese con sé e li portò nell’isola si Salamina. Similmente Pirro e tutto l’esercito greco e gli eroi ognuno con la sua flotta tornarono nella loro patria.
Queste notizie le tramandò per iscritto Sisifo di Cos, che prese parte alla guerra con Teucro; e, tempo dopo, trovando la sua storia, il poeta Omero compose la sua Iliade, come anche poi Virgilio l’Eneide. Queste stesse cose ha tramandato anche Ditti Cretese, i cui scritti, ben prima dei secoli di Omero e Virgilio, si racconta che furono trovati in una cassetta ai tempi di Claudio Nerone…




Traduction italienne de la traduction latine effectuée par Francesco Chiappinelli